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Il giardino nasce come contrapposizione alla natura. Nella natura l’uomo soccombe, noi non possiamo viverci dentro: paludi, fiumi che cambiano percorso improvvisamente, foreste, alluvioni, animali feroci… non è il nostro luogo. Per questo motivo ne “recintiamo” un pezzo e iniziamo ad addomesticarla, la rendiamo razionale e possiamo coglierne i frutti; in altre parole, ci sfamiamo. Il paradiso infatti è spesso rappresentato come un giardino con un bel recinto, al suo interno l’uomo può godere della bellezza e del cibo che la natura addomesticata gli offre. Un giorno, secondo la leggenda, decidemmo di scavalcare il muro che lo cingeva e iniziò l’addomesticamento planetario della natura attraverso la campagna (che altro non è se non un giardino) e le città.

Athanasius Kircher, Garden of Eden Map, 1675

Athanasius Kircher, Garden of Eden Map, 1675

I giardini di epoca medievale sono proprio questo, un hortus conclusus, con un bel muro di cinta, una sorta di campagna chiusa. I primi esempi rinascimentali si riferiscono a questa tipologia ampliandone però i significati: giochi d’acqua e natura che non dà più solo frutti ma coltivata anche per il godimento estetico; l’edificio si rapporta sempre più al giardino e ne diventa parte integrante e progettato assieme. Il limite però esiste ancora anche se inizia un flebile rapporto con la città e la campagna che sta al di fuori. In epoca barocca, soprattutto in Francia, si va oltre… le dimensioni aumentano, gli assi visivi disegnano geometrie più complesse, portano sempre più verso l’esterno, verso l’orizzonte e l’infinito; il limite c’è ancora ma si riesce con difficoltà a percepirlo. La natura? Sempre addomesticata, sempre razionalizzata, sempre dominata.

Villa Lante a Bagnaia

Villa Lante a Bagnaia

Versailles

Solo con i parchi paesaggistici inglesi si inizia a mettere in discussione questo tipo di rapporto con la natura, viene apparentemente lasciata libera di essere se stessa. Il giardino diventa “spontaneo”, chiome, siepi, arbusti possono essere crescere liberamente. L’asimmetria, la casualità e la naturalità fanno da padrone; non più geometria e razionalità. Il tutto in apparenza, la mano del progettista in questa spontaneità esiste, eccome se esiste. Il limite? Sparisce dalla percezione: una trincea (ha-ha) attorno al parco diventa il modo per delimitare il parco; mentre si inizia ad usare l’eye-catcher (cattura sguardo) posto al di fuori del parco, una statua, un monumento, un muro… posizionato a diversa distanza riesce a mettere in gioco percettivamente tutto ciò di esistente tra il parco e l’elemento architettonico utilizzato per catturare la nostra attenzione. Il paesaggio, anche se al di fuori del parco, entra e ne diventa parte integrante. I parchi, visti zenitalmente, si “perdono” nell’intorno; mentre i giardini/parchi barocchi e rinascimentali sono ancora facilmente individuabili, nell’esperienza inglese si fatica a definirne i limiti. In quell’epoca (‘700) inizia ad incrinarsi il rapporto di dominio dell’uomo; ci si accorge, complice la rivoluzione industriale, che l’umanità può anche generare effetti collaterali non sempre positivi, si inizia pertanto a porsi il problema del rispetto verso natura, il linguaggio apparentemente libero con cui vengono disegnati i parchi inglese riflette proprio questo mutamento.

Stourhead Park

Stourhead Park

Ha-Ha

Ha-Ha

Nel secolo successivo le bizzarrie, le storie, i diversi stili, il pittoresco e il kitsch diventano parte integrante di parchi e giardini ma questo poco importa… la cosa più importante è che la natura “entra” in città. L’inurbamento tumultuoso pone problemi sociali ed igienici. La natura in città diventa elemento per poter far godere a tutti il benessere di immergersi in essa. I parchi, sino ad allora prerogativa solo di alcune classi sociali diventano patrimonio di tutti, della collettività. E non solo singoli parchi ma sistemi, infrastrutture verdi che si snodano all’interno dell’ambito urbano, soprattutto in ambito statunitense; contemporaneamente i primi movimenti “ambientalisti”, che si traducono in un’azione per la creazione di parchi naturali, fanno capolino.

New York, Central Park

Central Park

Boston, il sistema dei parchi

Boston, il sistema dei parchi.

Il ‘900 (anche se già nell’800 si vedono i primi sintomi con la diffusione del suburbio) purtroppo ribalterà completamente la situazione: non più la natura e il paesaggio in città, non più un vivere compatti ma comunque a contatto con una natura inserita in ambito urbano… l’esatto contrario: urbanizzazione immersa nella “natura”. L’avvento dell’auto, ma anche ideologie urbanistiche legate al modernismo assieme a ideologie politiche iper individualistiche, portano alla dispersione dell’edificato e alla rottura di regole che sino ad allora erano rimaste sostanzialmente invariate pure nella loro continua variazione; che siano villette unifamiliari o un complesso modernista poco importa: oggetti dispersi col vuoto attorno, spesso di risulta o funzionale al trasporto. In quest’epoca qualcuno ha cercato di porre limiti e freni, di cingere l’espansione dell’edificato (green belt) cercando che almeno il giardino (la campagna) non venisse continuamente erosa… ma niente, ha prevalso l’ideologia della natura a nostra completa disposizione.

Intanto il “giardino” si espande sempre più, i figli da sfamare superano i miliardi e si inizia a comprendere (dalla seconda metà del ‘900) che l’antropizzazione è praticamente completa. L’uomo si è diffuso dappertutto, l’intero pianeta è dominato, i nostri comportamenti influenzano il clima e lo modificano irreversibilmente. Paesaggisticamente qualcuno inizia a parlare di jardin planétaire: l’uomo ha spinto i limiti del proprio hortus conclusus al massimo dell’espansione fino a farli coincidere con la Terra stessa; a quel punto è necessario iniziare a prendersi cura di Gaia come fosse un giardino immenso, un giardino planetario – con un muro attorno per il momento invalicabile – pena la nostra fine.

Questo la sintesi, in maniera estrema, senza troppe pretese “scientifiche”, degli ultimi mille anni partendo dal giardino, passando al paesaggio, al territorio, al pianeta e tornando di nuovo al giardino; iniziando dall’Italia e finendo negli USA attraverso Francia e Inghilterra.

Questo breve scritto è nato di getto, come post su Facebook, dopo aver visto un documentario televisivo in cui Renzi  ha descritto il giardino all’italiana con questa frase: “… giardino fatto bene, fatto come nessun altro è in grado di fare”. Ho cercato di spiegare che il tema è più complesso di quanto appaia e altri paesi hanno qualcosa da dire, anzi, potremmo pure imparare qualcosa da loro.

 

 

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